propositi

Dimettendosi dopo giorni di tentennamento, la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, alludendo agli sperperi scandalosi del suo Consiglio, dice minacciosa: “Da domani quello che ho visto lo racconterò …”
Ma non aveva detto fino a ieri di non sapere niente?

meglio tardi che mai

Quando il bravo Padoa-Schioppa, nell’ottobre 2007, osò dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, spiegando che servono a evitare che nel Paese ci allarghi sproporzionatamente il divario tra i redditi altissimi di pochi e quelli modesti o addirittura insufficienti dei molti – senza dire del danno alle casse dello Stato e di conseguenza ai servizi, nonché del fatto che l’evasione contribuisce a impedire una riduzione delle tasse stesse -, non ci fu quasi nessuno  che difendesse la sua sacrosanta posizione. Anche da sinistra si disse che la sua frase era stata per lo meno fuori luogo:  una gaffe si disse, o un boomerang – e lungamente il ministro fu dileggiato per tale sua ragionevole dichiarazione.

Ora, con la crisi che morde, tutti stanno scoprendo l’acqua calda, e cioè che gli evasori non sono dei simpatici furbi con cui solidarizzare e da invidiare, ma dei mascalzoni che “mettono le mani nelle nostre tasche” e che, non lo Stato, ma loro sono dei vampiri. Ora improvvisamente anche i nostri giornalisti assumono nuovi toni, toni gravi, di censura nei loro confronti. Solo ora, per esempio, il divo Mentana – i cui pistolotti spesso autoincensatori all’inizio del suo tg diventano di giorno in giorno sempre più ridondanti – ci istruisce con toni da reprimenda su questa questione con l’aria di averlo sempre fatto. Solo ora la Chiesa ribadisce non più in sordina che evadere è un peccato… Mi sarebbe piaciuto che  lo avessero effettivamente fatto ai tempi di Padoa-Schioppa o negli anni scorsi, quando dal governo si ammiccava ai furbi. Ma allora, negli anni scorsi, niente invece. Silenzio.

Meglio tardi che mai.

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ovviamente

Con un certo ritardo il senatore Calderoli, forse ancora ignaro del cambiamento d’inquilino avvenuto a Palazzo Chigi, ha chiesto chiarimenti su una festa avvenuta a fine d’anno in quella sede,  volendo sapere anche se vi fossero presenti “persone care” al presidente stesso – chissà, magari nipotine di Mubarak o altri buontemponi suoi protetti  – e mostrandosi preoccupato su “chi ne abbia sostenuto gli oneri, con riferimento alla sicurezza e gli straordinari del personale”. Per lui, abituato a non fiatare di fronte ai vitalizi regalati a spese del contribuente alle “persone care” sistemate in Consiglio regionale o nei seggi del governo, è ovvio che chi sia riuscito a occupare una carica pubblica metta poi a carico dello Stato ogni sua spesa privata, dallo sciarpone al computer e all’elargizione di favori e regalie ai propri cari.

Piace pensare di avere dei senatori così vigili, sia pure con implausibile ritardo, nel controllare e chiedere conto delle senili voglie goderecce dei governanti.
Ma piace molto di più avere governanti in grado di dare risposte come questa tempestivamente resa pubblica dal nuovo presidente del Consiglio.

Vale la pena leggerla per intero, per apprezzarne, oltre che il contenuto, la lezione di stile e di ironia (c’è fra l’altro un impagabile “ovviamente” che vale da solo un intero discorso):

Precisazioni del Presidente del Consiglio
4 Gennaio 2012

Il Presidente del Consiglio ha appreso da fonti di stampa che il Senatore Roberto Calderoli avrebbe presentato in data odierna un’interrogazione a risposta scritta con la quale chiede di dar conto delle modalità di svolgimento della cena del 31 dicembre 2011 del medesimo Presidente del Consiglio.
Il Presidente Monti precisa che non c’è stato alcun tipo di festeggiamento presso Palazzo Chigi, ma si è tenuta presso l’appartamento, residenza di servizio del Presidente del Consiglio, una semplice cena di natura privata, dalle ore 20.00 del 31 dicembre 2011 alle ore 00.15 del 1° gennaio 2012, alla quale hanno partecipato: Mario Monti e la moglie, a titolo di residenti pro tempore nell’appartamento suddetto, nonché quali invitati la figlia e il figlio, con i rispettivi coniugi, una sorella della signora Monti con il coniuge, quattro bambini, nipoti dei coniugi Monti, di età compresa tra un anno e mezzo e i sei anni.
Tutti gli invitati alla cena, che hanno trascorso a Roma il periodo dal 27 dicembre al 2 gennaio, risiedevano all’Hotel Nazionale, ovviamente a loro spese.
Gli oneri della serata sono stati sostenuti personalmente da Mario Monti, che, come l’interrogante ricorderà, ha rinunciato alle remunerazioni previste per le posizioni di Presidente del Consiglio e di Ministro dell’economia e delle finanze.
Gli acquisti sono stati effettuati dalla signora Monti a proprie spese presso alcuni negozi siti in Piazza Santa Emerenziana (tortellini e dolce) e in via Cola di Rienzo (cotechino e lenticchie).
La cena è stata preparata e servita in tavola dalla signora Monti. Non vi è perciò stato alcun onere diretto o indiretto per spese di personale.
Il Presidente Monti non si sente tuttavia di escludere che, in relazione al numero relativamente elevato degli invitati (10 ospiti), possano esservi stati per l’Amministrazione di Palazzo Chigi oneri lievemente superiori a quelli abituali per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente.
Nel dare risposta al Senatore Calderoli, il Presidente Monti esprime la propria gratitudine per la richiesta di chiarimenti, poiché anche a suo parere sarebbe “inopportuno e offensivo verso i cittadini organizzare una festa utilizzando strutture e personale pubblici”. Come risulta dalle circostanze di fatto sopra indicate, non si è trattato di “una festa” organizzata “utilizzando strutture e personale pubblici”.

Il Paese di Acchiappacitrulli

In effetti, volendo a ogni costo salvaguardare i ricchi e i loro sacrosanti patrimoni, strizzare l'occhio a quei birichini degli evasori pur fingendo la faccia feroce, e lasciar intendere che ci saranno nuovi benevoli condoni per chi tiene i soldi all'estero, cosa restava da fare se non mettere una tassa sulle rimesse degli immigrati?

In fondo è agli italiani abbienti che questo governo ha promesso di non mettere le mani in tasca.
Agli altri, i non abbienti, che sono italiani bastardi pronti a sconfinare  nei regni della povertà, e agli stranieri che vengono appunto dal cuore di quei regni, è giusto far pagare gli sprechi dell'amministrazione dello Stato e imporre il gravame delle imposte indirette, dei tagli sui servizi e (perché no?) delle belle tasse sui soldi che mandano a casa.
No?

a chi giova la controriforma

Il nostro attuale sistema giudiziario pecca soprattutto per la lentezza – dovuta ai sistemi antidiluviani ancora in uso, alle mille possibilità di cavilli che offrono le procedure agli avvocati che vogliano prolungare i tempi del processo, e allo scarso personale di cui dispongono. Ma ha anche molti pregi:  tra questi, quello di disporre di P.M. che, avendo spesso prima fatto anche i giudici, hanno acquisito quel giusto equilibrio che, permettendo di osservare i fatti da un punto di vista il più possibile imparziale, li rende capaci di non essere degli accusatori a tutti i costi  – come si vede nei film americani, dove l'accusa non mira ad altro che alla condanna dell'imputato. Non è raro il caso in cui si è letto sui giornali, qui da noi, che il Pubblico Ministero chiede una condanna inferiore a quella che poi il Tribunale finirà col dare; a volte giunge a chiedere il proscioglimento dell'imputato, quando nel corso del dibattimento emergono ragioni in questo senso.
Relegandoli in una carriera separata – come intende fare questa controriforma – probabilmente finiranno con l'essere tentati di diventare degli accusatori per professione e quasi alla fine per vocazione, in gara esasperata contro la difesa.

Non solo. Mentre oggi le indagini della polizia sono coordinate, a garanzia del cittadino, dal PM (che, ripeto ha spesso l'equilibrio di un giudice più che di un segugio), con la controriforma la Polizia agirà per conto proprio, senza doverne rispondere al PM.

Non solo. Mentre oggi con l'obbligatorietà dell'azione penale, il PM può aprire indagini per ogni notizia di reato che gli pervenga, con la controriforma sarà il Parlamento – cioé la maggioranza del momento – a stabilire quali reati debba o no perseguire prioritariamente (fra l'altro sarebbe bella per il Berlusca, se domani, a dispetto di quanto crede, la maggioranza fosse composta di comunisti e dipietrini: questi potrebbero stabilire, in base alla sua legge, di perseguire prioritariamente i reati che riguardano lui e la sua bella compagnia;-))

Non solo. Non solo. Non solo. C'è in questo brutto disegno tutta una sequela di non solo che convergono tutti verso un fine centrale, che consiste essenzialmente, come ha ben chiarito oggi lo stesso Berlusconi, nel rendere "impossibile una eventuale nuova ManiPulite":  nell' impedire cioè che vengano perseguiti i reati commessi dai potenti della casta e delle cricche. I cittadini non avranno difesa contro le prepotenze, la corruzione e i grandi malaffari.
I soli a non passarla liscia continueranno a essere, ma senza più eccezioni, i poveri cristi o chi non ha santi in paradiso.

mondo ladro: Timone l’Ateniese (amori di carta)

Timone l’ateniese è uno dei drammi meno rappresentati di Shakespeare e certamente il suo più cupo.


Mette in scena la storia, tratta da Plutarco e Luciano, di un ricco ateniese, Timone appunto, che in base a un ideale aristocratico di vita e animato da un alto senso dell’amicizia, sperpera tutti i suoi beni in sontuosi banchetti e generosissimi doni per onorare i suoi amici. Ma questi, non appena lui cade in rovina, lo abbandonano. La delusione per Timone è tale che si ritira dal consorzio umano, va a vivere  fuori delle mura cittadine in una landa selvaggia, nutrendosi di radici e tramutando il suo amore per gli altri in odio per l’intera umanità. Diviene insomma misantropo, anzi il prototipo del Misantropo.

Il dramma di Shakespeare non segue l’evoluzione psicologica del protagonista, ma rappresenta come in due grandi quadri, a mo’ di exempla, le due fasi in cui è divisa la sua esistenza. Nel primo è messa in scena, attraverso la rappresentazione di un banchetto, la sua vita anteriore, dominata dall’illusione di un mondo di relazioni economiche basate sul dono e guidato da sentimenti di fraternità; nel secondo, la sua rabbiosa e autodistruttiva delusione che lo fa prorompere in invettive feroci contro i concittadini e l’umanità, che ora ha scoperto essere guidati solo dall’interesse personale  – invettive che Shakespeare, con la sua meravigliosa sovrabbondanza di immagini e di linguaggio, innalza fino a coinvolgere l’intero cosmo in tale visione economica.
Timone muore alla fine, consumato dalla sua delusione che gli fa odiare anche se stesso e considerare la vita come fosse una malattia (La lunga mia malattia della buona salute e della vita sta ora per guarire – dice mentre si appresta a scrivere il proprio epitaffio – e il nulla mi porterà in dono tutto).

Qui riporto parte di una scena del IV atto. Nel suo ritiro desolato Timone, scavando per cercare radici di cui nutrirsi, ha trovato invece, per beffa della sorte, dell’oro – di cui non solo non sa più che farsene, ma che è diventato l’oggetto principale del suo disprezzo e odio, essendo appunto l’oro la causa della disumanizzazione degli uomini e di tutto il male della loro esistenza. La voce di questo suo ritrovamento fa sì che lo vengano a visitare, fra gli altri, due ladri. Ed ecco quanto avviene:

UNO DEI LADRI –  Non siamo ladri, ma uomini afflitti dal bisogno.

TIMONE – Il vostro maggiore bisogno è che avete molto bisogno di pasti.
E perché dovreste averne bisogno? Guardate: la terra ha radici,
in questo solo miglio fa spuntare centinaia di germogli,
le querce recano ghiande, i rovi rosse bacche,
la natura da massaia generosa su ogni cespuglio
vi ha imbandito innanzi tutto il suo cibo. Bisogno? Quale bisogno?

I LADRI – Ma noi non possiamo nutrirci di erba, bacche, acqua
come bestie e uccelli e pesci.

TIMONE – Nemmeno però di bestie, di uccelli e di pesci –
Di uomini, dovete nutrirvi. Ma devo rendervi grazie,
che voi vi professate ladri apertamente
e non agite sotto sacre spoglie,
ché c’è ladroneggio illimitato
nelle professioni ben delimitate. Ecco, furfanti mascalzoni:
qui c’è dell’oro. Dai, succhiate il sangue subdolo
dell’uva, fin che vi asseti la febbre e vi prosciughi
il sangue, scampandovi alla forca. Prendete
denaro e vite insieme, datevi alle canagliate,
fatele, dato che dichiarate di farle per lavoro.
Vi porterò alti esempi di ladroneggio:
il sole è un ladro che con la sua attrazione
deruba il vasto mare; lampante ladra la luna
che il suo pallido fuoco sottrae al sole;
ladro il mare, che disfa nei liquidi suoi flutti
la luna in lacrime salate;  ladra è la terra
che si nutre e frutta col concime di tutti
gli escrementi. Ogni singola cosa è ladra.
Le leggi, vostro freno e frusta, col rude loro potere
non hanno vinto il furto. Non vogliatevi bene – andate via!
rubatevi l’un con l’altro – ecco: c’è ancora dell’oro.
Tagliate gole: tutti quelli che incontrate
non son altro che ladri. Andate ad Atene,
scassinate le botteghe: niente potete rubare
che non lo perda un ladro. Che rubiate meno
per quest’oro che vi dò, pure comunque
possa
l’oro distruggervi. E così sia.

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Immagine: Percy Windham Lewis, Disegno dalla serie Timone d’Atene, 1912.

maldestro ma eroico

 Un ex-antiquario inglese, tale Raymond Scott, si presenta alla Folger Shakespeare Library di Washington (la prestigosa biblioteca, dove si conservano rare edizioni Shakespeariane) con una copia in cattivo stato e mancante di qualche pagina della prima edizione in folio del 1623 delle opere teatrali del Nostro (edizione di cui esistono al mondo solo 250 esemplari).
Scott dice di essere un ricco bibliofilo residente in Svizzera, e di essere entrato in possesso del prezioso volume durante un soggiorno a Cuba, ricevendolo in un night-club dalle mani di un ignoto: vorrebbe, più per amore di cultura – dice – che per lucro, sottoporlo agli esperti per verificarne l'autenticità e il valore. 
Ma gli esperti della Folger, nonostante il tomo sia in pessimo stato e manchi di alcuni fogli,  si accorgono ben presto che si tratta di quello rubato dalla Durham University (UK) nel 1988 e avvertono la polizia. Scott finisce così sotto processo in patria per aver tentato di alienare un vero e proprio tesoro appartenente non solo all'Università di Durham, ma "quintessenzialmente" all'Inghilterra.

È di ieri la sentenza che lo ha dichiarato colpevole oltre che di ricettazione e tentativo di alienazione del prezioso oggetto,  anche di  "vandalismo culturale" per aver danneggiato il volume a scopo di lucro, per nasconderne cioé l'identità e la provenienza e venderlo a caro prezzo, spacciandolo come un nuovo reperto.
Per questo gli è stata somministrata la condanna a otto anni di carcere (uno in meno di quanti furono dati a Pelosi per l'assassinio di Pasolini).

La pesantezza della condanna si deve probabilmente anche al fatto che l'imputato (eroicamente?) non ha voluto mai collaborare alle indagini e spiegare come fosse venuto in possesso dell'oggetto e ha anzi mostrato un atteggiamento sprezzante verso il sistema giudiziario inglese.

Scott, che –  poi si è saputo – nonostante non avesse più una sua attività e, alla bella età di 53 anni,  vivesse con la madre, conduceva una vita dispendiosa da play boy, che lo aveva caricato di enormi debiti, ha assistito al processo in un elegante vestito di lino e occhiali neri di Dior e ha dichiarato di essere vittima di un complotto. A suo dire, gli esperti della Folger Library hanno ordito una cospirazione a suo danno.
Povero Scott: la sua sventura è di essere nato in Inghilterra anziché in Italia.

(notizia letta oggi su The Times)

Radicamento nel territorio. Lega e Saviano

 

E sarebbe anche ora di finirla con la tiritera della Lega che nelle amministrazioni locali è  brava e operosa  ed è per di più radicata nel terrirorio – espressione, questa, che si trascina spesso dietro con compunta ammirazione il paragone fuori luogo con il PCI d'antan.

No e poi no. La Lega amministra i suoi piccoli comuni più o meno come capitava di fare anche alla DC & soci, di cui ha preso il posto.
Quanto al famoso radicamento nel territorio, sarebbe opportuno a questo proposito tenere ben presente la connessione con gli allevatori protestatari delle quote latte: un pugno di furbastri (solo un centinaio su quarantamila complessivi!).
La storia è lunga: gli allevatori (quasi tutti, non solo quel centinaio), dopo aver taciuto allo stato italiano (acquiescente) la reale quantità di latte prodotto (dicevano di produrne meno di quanto effettivamente  ne producevano, sicché poi l'Italia dichiarò a Bruxelles un consumo di latte inferiore della metà a quello reale – vedi QUI), si sono poi visti prescrivere dall'Europa limiti nella produzione sulla base dei dati falsati: speravano di andare avanti lo stesso con la produzione in nero e con eventuali condoni. Ma l'Europa si dimostrò più attenta di quanto immaginavano e pretese le multe (salate). Ora, mentre la stragrande maggioranza degli allevatori si è messa in regola, avendo ottenuto negli anni scorsi la rateizzazione delle multe, questo centinaio, invece,  non vuole  assoggettarsi alle regole europee né intende pagare il dovuto. Per difendere la protervia di costoro – ma  probabilmente anche qualche cosa poco chiara di CrediEuroNord,  la banca della Lega (vedi i sospetti dichiarati del senatore PD Enrico Morando QUI) – i leghisti con la complicità o l'acquiescenza di Tremonti e Berlusconi hanno costretto l'Italia (noi tutti, compresi gli allevatori onesti o ravveduti) ad addossarsi l'onere delle gravose multe  prescritte per la loro violazione (4 miliardi).
I sospetti sono dovuti al fatto che la banca della Lega già era stata negli anni scorsi associata alla questione delle quote latte. Secondo quanto scrissero il Corriere della Sera (lettura interessantissima) e Il Coltivatore Piemontese (organo della Coldiretti) era stata usata infatti per riciclare i soldi provenienti dalla produzione in nero di latte eccedente (vedi QUI) che, anziché andare all'Europa, finivano così col ritornare ai produttori.

E dire che poi la Lega se la prende con i falsi invalidi (e anche con quelli veri, tartassati con onerose richieste di ulteriori documentazioni), fa mostra di essere contro gli evasori e ripete a ogni pié sospinto la favola del Nord virtuoso e del Sud truffaldino, di "Roma ladrona" e di Milano sana ecc. Tutto questo, inoltre, mentre dà manforte a un governo alla cui ombra fiorisce e prospera  più che mai la corruzione.
È così, difendendo simili atteggiamenti, che la Lega si tiene ben aderente al "suo" territorio.

Il radicamento nel territorio, insomma, non è di per sé una virtù. Bisogna vedere come e per quali scopi, proteggendo chi e che cosa, ci si radica. Anche la mafia, la camorra e la 'ndrangheta sono radicatissime nel territorio, infatti. Non per questo sono virtuose.

E qui mi viene in mente Saviano, il bersaglio di tutti i malpensanti.

È dell'altro giorno la risposta sprezzante dei leghisti alla sua domanda: "Dove eravate mentre la camorra e la 'ndrangheta si innestavano proficuamente in Lombardia?". Noi, hanno detto, combattevamo prima che tu nascessi contro il soggiorno obbligato dei mafiosi nei comuni settentrionali. Noi lottiamo nei fatti contro le mafie, non come te solo a chiacchiere e facendoti i soldi.

C'è tutta l'ideologia leghista in questa non-risposta: prima di tutto l'odio plebeo per chi sa usare bene le parole (cioè per chi sa leggere e scrivere bene, e persino pensare, ed è insomma un odiosissimo intellettuale); poi il valore supremo attribuito ai soldi, agli "schei", l'unico Bene sacro riconosciuto: quel bel giovanotto campano ha la grave colpa di essersi fatto i Soldi insanamente con le parole e i libri, anziché sanamente allevando mucche e truffando sulle tasse! Poi, ancora, la riproposizione della favoletta razzistica del Nord puro, laborioso e ingenuo, contaminato dalla nequizia meridionale – così come ora verrebbe ulteriormente contaminato dalla presenza di altri iniqui stranieri.

Va detto, a questo punto, che senz'altro è vero che la legge sul soggiorno obbligato fu un errore, perché anziché isolare i mafiosi sradicandoli dal loro terreno di coltura, ha offerto loro la possibilità di estendere la rete di relazioni anche fuori da quel primitivo terreno di coltura (e cultura), prendendo contatto con la malavita locale.

Ma l'errore fu dovuto proprio al fatto che i legislatori di allora credettero anch'essi alla favola di un'inattaccabilità del tessuto sociale e culturale settentrionale da parte dei metodi mafiosi. Pensarono che il fenomeno della mafia e dell'omertà fosse un prodotto tipico della cultura del Sud: una mala pianta che non avrebbe potuto allignare nella pia e industriosa pianura del Nord. I fatti li hanno smentiti. Ma hanno smentito anche la favola.

domande varie

Ma di che è ministro questo Brancher?
In un primo momento si disse che fosse preposto all'Attuazione del Federalismo (che già di per sé è un compito ben singolare, essendoci già un ministro per il Federalismo). Poi s'è detto che era preposto alla Sussidarietà e al Decentramento. A tutt'oggi però ancora manca una sua precisa definizione sulla Gazzetta Ufficiale, dove appare semplicemente come "ministro senza portafoglio". E nemmeno lui sa dire quali siano le sue deleghe (vedi qui)
Ministro significa servitore. Servitore dello Stato, che è dei cittadini. Che cosa serve questo signore dalle incerte mansioni?

Ma davvero è uno scandalo che in Belgio i vescovi sospettati di avere insabbiato reati di pedofilia siano stati trattati come comuni cittadini e abbiano dovuto subire perquisizioni nelle loro case con relativi  interrogatori? O è uno scandalo, invece, che godano di privilegi e immunità?

E ancora:  davvero è solo una realtà priva di alternative, di cui non mette conto neppure parlare, il divario enorme e sempre crescente  tra i redditi e le condizioni di vita della maggioranza dell'umanità che s'affanna nella sopravvivenza quotidiana e quelli dei pochi che traggono guadagni da capogiro dal capitale e dalle finanze?
 

che vergogna, che disastro!

Che VERGOGNA! si legge oggi a titoli cubitali su tutti i quotidiani. Che DISASTRO!

Di che si tratta? Del fatto che il nostro Presidente del Consiglio ha inventato un inutile ministero per poter nominare  ministro un imputato, un suo fedele, al fine di permettergli di esercitare il legittimo impedimento e sfuggire al processo?
Del fatto che l'Istat afferma che in un paese come il nostro, che già si segnala in Occidente per i bassi salari, il numero dei disoccupati e dei poveri aumenta e che i giovani vivono nel precariato senza poter fare progetti di vita?
Del fatto che i lavoratori privilegiati, quelli che hanno un posto alla catena di montaggio della Fiat per esempio, costruiscano a ritmo serrato inutili Panda in condizioni il cui solo pensiero, se ci immaginiamo al loro posto, sembra insopportabile?
Del fatto che la scuola è allo sfascio?
Della corruzione che mostra i suoi visibili segni nel rapido disfacimento di opere pubbliche e nella non iniziata ricostruzione dell'Aquila?
Del fatto che persiste la volontà di fare una legge sulle intercettazioni che limiti l'informazione e nello stesso tempo le indagini della polizia e dei giudici sulla corruzione e la malavita organizzata?
Del fatto che si cerchino di svuotare tutte le istituzioni e la stessa Costituzione per consentire ai predoni, come li chiama oggi D'Avanzo su Repubblica, di fare indisturbati il proprio interesse?
Del fatto  che dal mondo non smettano di venire e di accavallarsi notizie di ingiustizia e di violenza?
Del fatto che qualcuno ci ricorda come nel Niger muore di stenti un bambino ogni 4 secondi?

No. Pare che si tratti della nazionale di calcio, che ha dato cattiva prova di sé in Sudafrica. E se ne parla per pagine  e pagine, con indignata veemenza.

Che vergogna, in effetti.