prevenzione contro le epidemie e la paura della morte

“Quest’oggi, in Drury Lane, ho visto – e proprio non avrei voluto – due o tre case marchiate da una croce rossa sulla porta, con su la scritta “Signore, abbi pietà di noi”. Una vista penosa per me, la prima di questo genere che a mia memoria io abbia mai veduto. La cosa mi ha messo in tali brutti pensieri circa me stesso e ciò che odoravo, che non ho potuto fare a meno di comprare del tabacco da annusare e masticare. Questo è bastato a togliermi l’apprensione.”

Dal Diario di Samuel Pepys, in data 7 giugno 1665. Il periodo è quello dell’ultima grande epidemia di peste. Si disse allora che nessun tabagista ne fosse rimasto vittima.
Sulle varie virtù attribuite al tabacco in quel tempo, già avevo scritto un post alcuni anni fa, citando fra l’altro anche questo passaggio. Chi ne abbia voglia, può rileggerlo QUI.

Aggiungo in margine che il tabacco fu introdotto in Inghilterra alla fine del 1500 da Sir Walter Railegh, esploratore, pirata e scrittore (come poeta duettò anche con Marlowe), oltre che favorito di Elisabetta I.
Raleigh fece pessima fine, perché venne decapitato, nel 1618. Si racconta che alla vigilia dell’esecuzione, come ultimo desiderio, abbia chiesto di fumare la pipa – inaugurando così una tradizione, che forse ora sta tuttavia per estinguersi.

giorno di Natale

“Mattina in chiesa – dove mi è toccato restare in piedi fuori dal mio banco (privato) perché il sacrestano non aveva aperto la porta. Buono il sermone del dott. Mills. Mangiato a casa, da solo. E col pretesto di alcuni difetti del piatto di carne, me la sono presa contro la puttana sciatteria della servetta. Ne è nato un litigio tra me e mia moglie, e io me ne sono salito in camera mia, di malumore.
Dopo pranzo mia moglie è venuta su da me e abbiamo fatto pace. Siamo andati io e lei a passeggiare sulla terrazza del tetto. Lì ci ha visti sir W. Pen e ci ha chiamati a casa sua, dove abbiamo cenato con lui.
Ma, prima di cena, è arrivato il capitano Cock mezzo ubriaco e ha cominciato a sproloquiare. Allora sir W.Pen, ben conoscendo il tipo e che non avrebbe mai smesso lo sproloquio, si è messo a brindare alla sua salute e a quella del re e così via, riempiendogli quattro grandi bicchieri di vino, facendolo ubriacare al punto che ha dovuto andarsene via. E così finalmente ci siamo seduti a tavola e abbiamo cenato in grande letizia.
Infine, a casa, e a letto.”

Questo è il Natale del 1661 del mio amatissimo Samuel Pepys. Lo auguro buono, o per lo meno a lieto fine e senza troppe chiacchiere vane, anche a voi che mi leggete. (E salite, qualche volta, a fare pace con i malmostosi di casa;-))

COMUNQUE

Dal Diario di Samuel Pepys (1661):

Tra varie altre cose, il dott. Thomas Fuller mi ha anche detto, en passant, che qualora uno venga interrotto nel proprio discorso e – cosa che a lui non è mai successa – dimentichi dove era rimasto, l’estremo rifugio è riprendere con un iniziale Utcunque.

Utcunque= comunque

Questo Thomas Fuller (1608-1661) era un dotto scrittore, molto noto a suo tempo anche come vivace predicatore. Famosa era anche la sua memoria. Di lui si ricordano ancora una “Storia delle notabili famiglie inglesi” e una serie di aforismi sparsi (vedi QUI).

Peraltro, begli spiriti non mancano nemmeno ai nostri tempi. Comunque.

corsi pre-matrimoniali accelerati

A proposito di matrimoni, visto che se ne parlava, ecco qui la cronaca di un fidanzamento con nozze finali, tratta dal Diario del mio carissimo Pepys (di cui avevo riportato qui una breve osservazione sui matrimoni).
In questo caso si tratta del matrimonio tra Lady Jeminah Montague, la figlia di Lord Sandwich, lontanissimo parente e protettore di Pepys, e il figlio maggiore del Tesoriere della Marina, sir G. Carteret. Sono tutti e due molto giovani, e tutti e due sfortunati: lui è zoppo e lei ha un imprecisato difetto al collo. Si devono dunque accontentare l’uno dell’altra. Il matrimonio, senza consultare gli interessati, viene deciso dalle famiglie, ed è proprio il nostro Pepys a condurre le trattative e a prendersi cura del buon andamento delle cose.
Siamo nel 1665, a Londra infuria la peste, tutti quelli che possono sono sfollati nei paesotti vicini, e Pepys fa la spola tra Woolwich, dove ha sistemato la moglie e la piccola sua servitù, Deptford dove ci sono i cantieri della Marina, e i paesi in cui si trovano le famiglie degli sposi. È lui a condurre il fidanzato al primo incontro con la giovane Lady Jem, che Pepys ha conosciuto fin da piccola e alla quale con la moglie talvolta ha fatto da lieto accompagnatore e intrattenitore in giro per qualche mercato o fiera di Londra.
L’incontro avviene in casa degli zii di lei, dopo un viaggio di più d’un’ora durante il quale Pepys cerca di parlare un po’ col giovanotto.

E, Dio buono, lungo la via che discorsi insulsi sulle questioni d’amore: è l’uomo più goffo e impacciato su queste faccende che mi sia mai capitato di vedere.”
A casa, in presenza della fidanzata, il Lord-zio fa al giovane un po’ di domande, per invogliarlo a parlare
“e quello risponde abbastanza bene, con brevi parole. Ma mai che si rivolga alla giovane lady. Poi a cena. E dopo cena ancora discorsi, e lui ancora non bada alla giovane lady. My Lord (il padre della sposa) avrebbe voluto che io già stasera avessi lasciato i due giovani un po’ insieme per cominciare il loro amoreggiamento, dal momento che la visita non durerà a lungo. Ma io sono stato di avviso contrario, per timore che lei potesse essere troppo presa di contropiede e confusa. Così lui è stato accompagnato su alla propria camera, e io sono rimasto un po’ con lui per sapere se gli era piaciuta la giovane Lady; e mi ha detto che sì, molto, ma, Dio buono, nel modo più insipido e ottuso mai usato da un innamorato. Così gli ho dato la buonanotte e sono andato alle preghiere col resto della famiglia.

Il mattino dopo, prima di andare alla funzione domenicale, Pepys va su dal ragazzo e chiacchiera un po’ con lui.

“Gli ho insegnato cosa fare; che deve prendere sempre la giovane Lady per mano per accompagnarla; e gli ho detto che avrei trovato il modo di lasciarli insieme, e che lui avrebbe dovuto fare tali e tali altri complimenti, e trovare il modo di farne di simili anche agli zii.”

L’uscita in carrozza per andare in chiesa avviene però
“senza che Carteret abbia avuto il coraggio di prendere una sola volta la lady per mano, né all’andata né al ritorno. Tornati a casa, gliel’ ho detto, e in seguito lui lo ha fatto.”
Infine i due giovani vengono lasciati un’ora insieme prima di pranzo, e poi ancora a passeggiare in giardino dopo pranzo.

Il giorno successivo, dopo aver istruito il goffo giovanotto su come e quanto lasciare di mancia alla servitù,
“prima di partire, ho preso lady Jem da parte e le ho chiesto se questo giovane le era piaciuto e se si trovasse in una qualche difficoltà riguardo a lui. Lei è arrossita e per un po’ ha tenuto il viso nascosto, ma alla fine l’ho costretta a parlarmi. Ha risposto di essere pronta a obbedire a ciò che il padre e la madre avevano fatto – il che era tutto ciò che potesse dire o che io mi aspettassi.”

Le nozze vengono celebrate 15 giorni dopo quell’incontro. Pepys per una serie di circostanze, arriva tardi, quando già gli sposi stanno uscendo dalla chiesa:
“La giovane Lady terribilmente triste, cosa che mi ha fatto star male; ma anche penso che si tratti della sua solita aria seria, un po’ più accentuata del solito.

I festeggiamenti sono piuttosto sobri. Senza segni della rituale allegria. E così, dopo le preghiere comuni, la coppia va a letto senza atti festosi all’intorno:
“Tranne che io sono entrato nella camera dello sposo, mentre lui si spogliava, e lì ho fatto un po’ d’allegria, – finché lui è stato chiamato nella camera della sposa e sono andati a letto. Ho baciato la sposa già a letto, poi sono state tirate le cortine, con la più grande solennità, e buona notte.”


Per Pepys, che ha partecipato ai preparativi, che è coinvolto, in un misto di soddisfazione per il successo della propria intermediazione, di tenerezza e anche di pena per la sposina (benché si sbarazzi presto di questo sentimento) e, per di più, è sempre sovraeccitato quando si tratta di sesso, questo è una specie di matrimonio suo per interposta persona. Sicché al mattino eccolo di nuovo nella camera degli sposi:
“E li ho trovati già alzati e lui andato a vestirsi. Tutti e due rossi in faccia e piuttosto soddisfatti stamane della loro sistemazione notturna..”

Amici intimi

Nelle edizioni Adelphi si può trovare una raccolta di recensioni di Wislawa Szymborska, intitolata Letture facoltative.
Molti dei testi recensiti sono polacchi e per noi del tutto ignoti. Per di più, spesso (non sempre) si tratta, per scelta, di testi assolutamente “minori”: trattatelli di florocomposizioni, per esempio, o anche di trucco, oltre che di divulgazione di storia naturale o umana. Tuttavia il libro si legge con grandissimo piacere e interesse, perché queste recensioni sono in realtà spunti per riflessioni su molteplici aspetti della realtà, divagazioni connotate da quell’ironia amara eppure piena di grazia e da quella limpidissima intelligenza che ci fanno tanto amare questa autrice. Tutte cose, queste, che si possono apprezzare anche senza sapere nulla degli autori o dei libri recensiti.

Talvolta però gli autori sono noti, e allora il lettore prova in aggiunta quel godimento affettuoso, che somiglia a un interiore sorriso di riconoscimento, dovuto alla condivisione di gusti.

Così è stato per me quando ho trovato nel volume un capitoletto dedicato al Diario
del mio Pepys, tanto più che la Szymborska lo inizia scrivendo:
Samuel Pepys è un mio intimo amico fin dal 1954, ovvero dalla sua seconda edizione. Da allora mi sono letta diverse volte questo splendido libro in due volumi, splendido – tra l’altro – proprio perché l’autore lo ha scritto per se stesso, senza preoccuparsi se fosse splendido o meno.

Anche a me capita spesso di tornare ai Diari di Samuel Pepys, così come si torna a trovare un intimo amico: mi piace ogni tanto affacciarmi a vedere come ha passato la giornata lui, nella sua Londra d’allora, in date corrispondenti del calendario odierno.
Proprio pochi giorni fa mi era perciò capitato di ritrovare il passo in cui, il 23 febbraio del 1669, giorno del suo compleanno, scrive di essere andato con la moglie e due nipoti a Westminster, a visitare le tombe dei re, e (lascio ora a lui la parola)
qui, per un favore speciale, abbiamo visto il corpo della regina Caterina di Valois*, e io ho potuto tenere tra le mani la parte superiore del suo corpo. E l’ho baciata sulla bocca, pensando nell’atto che stavo baciando una regina, e che oggi era il mio compleanno, 36 anni, e che per la prima volta baciavo una regina.”

Il mio piacere dunque si è acuito anche di sorpresa quando, l’altro ieri, nella recensione della Szymborska ho visto citato proprio quell’ episodio.
La Szymborska dice che quell’annotazione di Pepys, “per la prima volta ho baciato una regina”(come se si aspettasse un seguito di baci regali), l’ha sempre divertita, pensandola sempre come una forma di comicità involontaria. Ma “oggi non ne sono più sicura“, aggiunge in questa recensione. “Potrebbe magari trattarsi di uno scherzo intenzionale, una presa in giro di sé e del suo presunto successo presso le alte sfere“.
Di qui parte una sua riflessione, che riporto a esempio del tono di queste sue divagazioni in margine alle letture:

Come dobbiamo avvicinarci ai testi antichi per leggerli senza quel sorrisetto di accondiscendenza e di superiorità che probabilmente non si meritano? Soprattutto nel caso in cui l’autore non sia famoso per la sua arguzia e solo di tanto in tanto gli capiti di scherzare. Allora le sue battute spesso non vengono capite o sono considerate involontarie, come se gli fossero sfuggite di bocca inavvertitamente. In genere il trascorrere dei secoli crea per l’umorismo condizioni acustiche oltremodo sfavorevoli. Sospetto che vi siano innumerevoli vittime celate in singole parole, frasi, frammenti e persino intere opere..”

Ripetendo ciò che dice l’autrice stessa a proposito di un altro testo, anch’io “raccomando questo libro a chi, talvolta, ama riflettere un po’ sulle cose”.

Wislawa Szymborska, Letture facoltative, Adelphi 2006.

*Caterina di Valois era la moglie di Enrico V (quello che aveva sconfitto la Francia, noto ora soprattutto per l’omonimo dramma storico Shakespeare). Godeva fama di essere bellissima, ed era morta nel 1437 all’età di 36 anni (esattamente quella di Pepys il giorno in cui la bacia). Fu imbalsamata dalla vita in su, ma il suo corpo veniva raramente mostrato. Era ancora in buono stato, pare, a metà del 1700. Attualmente la sua tomba, chiusa, si trova accanto a quella di Enrico V.

matrimoni di Natale

Continua a piacermi dare ogni tanto un’occhiata al Diario di Samuel Pepys per leggere che cosa faceva lui tre secoli fa in giornate simili a queste. Così passando in rassegna i vari Natali, mi sono fermata su questo del 1665, perché capitava di lunedì, come quest’anno per noi, e poi perchè ho trovato queste righe:

Natale. In chiesa stamattina, e lì ho visto un matrimonio in chiesa, che era tanto che non ne vedevo, e i due giovani tutti lieti l’uno con l’altro. Ben strano osservare quanto piacere proviamo noi, persone sposate, nel vedere questi poveri sciocchi finire intrappolati nella nostra condizione, i mariti e le mogli tutti a guardarli e far loro sorrisi.

Samuel Pepys, Diario, 1665.

Diario di un San Valentino (Pepys)

14 febbraio 1665
Stamattina presto è venuto il piccolo Dicke Pen per essere il valentino di mia moglie, ed è venuto accanto al nostro letto. Per la stessa ragione, me lo son fatto portare dal lato mio, pensando di farmi baciare da lui; ma lui si è accorto che ero io, e non ha voluto. Così è andato dalla sua Valentina – un ragazzino notevole, sveglio, risoluto.
In piedi, e al lavoro; e nell’aprire la porta, c’era là la moglie di Bagwell, con la quale poi ho parlato un po’, e lei ha avuto la confidenza di dirmi d’essere venuta con qualche speranza di fare in tempo ad essere la mia Valentina, e così ha fatto – ma il mio voto
[di laisser aller les femmes per un mese] mi ha preservato dal perdere tempo con lei. E così io e il mio ragazzo [il paggio] fuori in carrozza fino a Westminster, dove ho sbrigato due o tre faccende; poi verso casa al Cambio, dove ho fatto varie altre cose. Lord Sandwich si trova, pare, con la flotta nella baia di Aldeburgh. A casa per il pranzo, e quindi in ufficio, dove sono rimasto fino quasi a mezzanotte, e infine a casa, per la cena, e a letto.

(dai Diari di Samuel Pepys)

due stati d’animo per un simile gesto

1 – Anche ciò che io stesso avevo scritto in passato, anzi soprattutto quello, non lo comprendevo più. Continuavo a pensare che frasi del genere fossero qualcosa di sensato solo in apparenza, essendo in realtà qualcosa di simile a un ripiego, una sorta di peduncolo della nostra ignoranza, con il quale noi, al pari di piante e animali marini dotati di tentacoli, tastiamo alla cieca nel buio che ci avvolge. (…) Da nessuna parte riuscivo a scorgere dei nessi, le frasi si disgregavano in singole parole, le parole in una serie arbitraria di lettere, le lettere in segni franti, e questi ultimi in una traccia grigio piombo, percorsa qua e là da riverberi argentei, che un qualche essere strisciante aveva secreto trascinandola dietro di sé e la cui vista mi riempiva sempre più di un senso di orrore e di vergogna. Una sera, disse, portai fuori di casa tutti i miei fasci di carte e fogli sciolti, i taccuini e i quaderni di appunti, i raccoglitori e le dispense delle lezioni, qualsiasi cosa fosse coperta dalla mia grafia, e li gettai nella concimaia, laggiù in fondo al giardino, ricoprendoli con foglie marce e qualche palata di terra.

2 – Questa sera, trovandomi nell’umore di mettere ordine e far pulizia tra tutte le mie cose, ho stracciato alcune vecchie carte; tra le altre, un Romanzo che (sotto il titolo Love a Cheate) avevo cominciato dieci anni fa a Cambridge; e ora, rileggendolo stanotte, mi è molto piaciuto e un poco mi sono stupito tra me della vena che avevo al tempo in cui l’ho scritto, essendo poco sicuro di essere capace di riuscire così bene ora, se mai mi ci provassi.

La prima citazione è tratta da Austerlitz di W. G. Sebald (traduz. di A. Vigliani, Adelphi, 2002).
La seconda dal Diario del mio Pepys (30 gennaio 1664).

giorni di Natale di tre secoli fa. Pepys

1664

25 dicembre (giorno di Natale).

A lungo a letto parlando piacevolmente con mia moglie, e tra le altre cose, non so se di proposito o per caso, lei ha preso a chiedermi che cosa dovrebbe fare se per un qualche accidente io dovessi morire, alla qual cosa ho risposto in modo vago e leggero; ma dovrò fare buon uso di questo discorso e indurmi a dar una qualche sistemazione alle cose in suo favore, facendo testamento al più presto.
Poi, dopo alzato, in chiesa, dove il pastore Mills ha fatto un sermone piuttosto ordinario, quindi a casa, e ho pranzato con grande piacere in compagnia di mia moglie, e poi tutto il pomeriggio, prima a guardare dalla finestra i ragazzi che giocavano a vari giochi nel nostro cortile del retro – il che mi ha fatto ricordare i miei stessi anni passati – poi io ho cominciato a leggere a mia moglie la parte riguardante i globi [di un libro di astronomia] con grande piacere e utilità, poichè sarà piacevole per lei e per me che capisca queste cose. A sera in ufficio, dove sono rimasto fino a tardi a leggere Rushworth, che è una assai eccellente ricostruzione storica degli inizi dei recenti contrasti nel nostro regno; quindi a casa, a cena e a letto, con un senso di soddisfazione interiore.

27 dicembre.

Dopo alzato, in chiesa da solo, e poi a casa, a pranzare piacevolmente con mia moglie, godendo l’uno della compagnia dell’altro meglio, nel complessivo piacere reciproco che proviamo, di quanto pensiamo che faccia la maggior parte delle altre coppie. Poi dopo pranzo alla French church, ma siamo arrivati in ritardo, così siamo tornati indietro e andati alla nostra, dove ho dormito per tutto il sermone dello scozzese che predicava, poi a casa. A sera io e sir J.Minnes ci siamo incontrati da sir W. Pen per questioni riguardanti la Marina. A casa poi cena, discorsi, preghiere, e a letto.

(dai Diari di Pepys, che forse qualcuno qui ricorda)


INVECE IL TABACCO…

Del caffè già s’è detto. Il tabacco godette di tutt’altra fama.

Ecco qui un pezzetto del solito diario del mio Pepys. È una domenica di fine agosto del 1667. Dopo aver girato per qualche chiesa ad ascoltar sermoni e gustarsi la vista osservando qualche bella donna, il nostro prende una carrozza e torna a casa e
e lì ho preso su mia moglie e con lei verso Islington, il nostro vecchio percorso. Ma prima d’arrivare, a mezza strada tra Islington e Kingsland, è capitata una strana avventura: uno dei cavalli della carrozza è stato preso da un attacco di vertigini, tanto che era lì lì per cadere. Il cocchiere è stato costretto a scendere e a tenerlo su e a praticargli un taglio nella lingua per farlo sanguinare, e anche sulla coda – il cavallo continuava a tremare in ogni parte, come se fosse da un pezzo in preda a una febbre malarica, e il sangue gli si stagnava nella bocca, e il cocchiere pensava e credeva che in breve sarebbe crollato morto.
Poi gli ha soffiato del tabacco nel naso; e a quel punto il cavallo ha starnutito e dopo un po’ è stato bene e ci ha portato per il resto del tragitto bene come non mai.
Si è trattata di una delle cose più singolari ch’io abbia osservato di un cavallo – ma dice che si tratta di fatto usuale. Sono le vertigini.

Non solo i cavalli, però, ricevevano beneficio dal tabacco. Lo stesso Pepys, sei anni prima, aveva annotato:
Mr.Chetwind, col masticar tabacco, si è ingrassato e irrobustito, laddove in precedenza era in stato di deperimento.

Le virtù attribuite al tabacco erano considerate tali da difendere persino dalla peste.
E infatti il 7 giugno del 1665 nel diario del nostro si può leggere questa nota:

Oggi, contro ogni mia voglia, ho visto in Drury-lane due o tre case contrassegnate da una croce rossa sulle porte, e con su scritto “Signore abbi pietà di noi” – e questa per me è stata una vista assai triste, essendo la prima di questo genere che a mia memoria io abbia mai veduto. Mi ha messo in una tale brutta apprensione per me e per il mio odorato, che non ho potuto fare a meno di acquistare del tabacco da annusare e masticare – cosa che mi ha tolto di dosso l’apprensione.

Leggo nella nota dei curatori (Robert Latham e William Matthews) che si diceva che a Londra durante quella Grande Peste non fosse morto nessun tabagista. Non solo: pare che a Eton un ragazzo fosse malmenato perché si era scoperto che non fumava.