Il modello berlusconiano ci ha ben ficcato nella testa che il buon politico, quello vincente, è non tanto colui che sappia amministrare con competenza la cosa pubblica e perseguire un disegno riconoscibile riguardo l'economia, la società, la cultura ecc, quanto colui che sappia comunicare.
In tempi di democrazia, questo è anche vero, naturalmente: se i cittadini devono capire che cosa si propongono i vari partiti, occorre che i loro programmi vengano comunicati con chiarezza ed efficacia. Ma il modello cui B ci ha educati per decenni attraverso la TV è altra cosa, e ha a che vedere più con l'imbonimento che con l'informazione. Il suo modello di comunicazione è quello pubblicitario infatti: Il martellamento di qualche slogan semplice e sonoro che si ricordi facilmente (tipo "basta la parola"), un pastaio sorridente che entri a mangiare con noi i tortellini che insieme elogia e vende, e un sovrabbondante condimento di "estetica" (cioè di protuberanze femminili plastificate) con jingle a volontà.
Siamo tutti vittime di questo modello. Compresa l'opposizione. Vedi il patetico tentativo di rendere appetibile, nel senso televisivo/pubblicitario berlusconiano, il bravo Prodi, facendo accompagnare le sue uscite pubbliche in campagna elettorale da qualche intrattenitore comico e usando canzonette senza storia (ma al momento note al pubblico) per vivacizzare l'ambiente, rigorosamente chiuso "perché la piazza e i comizi non sono di moda". Se Prodi vinse, sia pure sempre di poco, le elezioni, non fu certo per gli accompagnamenti comici, né per le sue doti pessime di imbonitore televisivo (nessuno peggio di lui quanto a questo), ma fu, nonostante le canzonette, per il suo programma, ovviamente, e per il malgoverno degli avversari oltre che per la disperata speranza della parte progressista del paese.
Caduto il governo Prodi per le discordie interne insanabili, ecco che alle elezioni (date già in partenza per perse, perché ci si accodava alla vulgata berlusconiana che irrideva il governo Prodi) si presentò un Veltroni ritenuto non migliore per programmi, ma più comunicativo e "moderno", dotato di una faccia più telegenica e di un'oratoria meno sussurrata, benché pateticamente in cerca di un afflato retorico mai raggiunto.
E perse, perchè nel gioco pubblicitario non valgono le imitazioni.
Ora che avviene? La scena mediatica è tutta presa dal duello infinito Fini/Berlusconi. Duello in cui ciò che conta (e i giornalisti, specie telvisivi, danno una buona mano in questo) sono i due avversari e pochissimo i contenuti, nonostante il tentativo finiano di farli emergere.
E noi che facciamo allora? Ecco che ci inventiamo il duello Vendola/Bersani.
Chi piace di più? La faccia nuova e giovanile di Vendola, la sua suggestiva capacità affabulatrice, l'aura di personaggio vincente, oppure la faccia "vecchia" e sottotono di Bersani, che sembra, sì, a molti competente, affidabile e capace, ma già è logorato dalle discordie interne a meno d'un anno dalla sua vittoria alle primarie?
Con la bella differenza che mentre il duello dei primi due occupa la scena come lo spot originale, quello dei secondi appare la copia appannata.
Niente muta insomma: nessun coraggio si trova di riprendere a fare politica diversamente, anziché dirla soltanto.
_________________________________________________________________
Detto questo, aggiungo, a scanso di equivoci: ben venga Vendola, se serve a incoraggiare gli smarriti e a nutrire le speranze. È che vorremmo saperne di più, partecipare di più, ritrovare i luoghi in cui discutere, ma sul serio, del nostro futuro, in cui stabilire noi se la candidatura di Vendola è "fuori" o "dentro" il "contesto" dell'attuale momento politico. Vorremmo essere noi davvero il contesto: uscire dal ruolo di telespettatori chiamati solo a scegliere fra i due Duelli quale ci emoziona di più, col cuore che magari batte sia per Fini che per Vendola a causa della formale somiglianza della posizione di attaccanti nei due campionati di serie A e di serie B.
Vorremmo non restare qui a giudicare le facce e le oratorie, ma anche le idee, i programmi, le strategie. Avere luoghi per tutto questo, non solo per votare alle primarie come ci dice il cuore.