Doveva farsi una ragione del fatto che non esisteva consolazione.
Non era un credente: i conforti della religione gli erano stati descritti, ma davano piuttosto l’impressione di tormenti. L’idea di essere colto da un rapimento ultraterreno, da una segreta comunione, era profondamente allarmante, come un indizio di pazzia. L’esempio poi delle persone religiose, come i repellenti Rogerson, lo aveva allontanato per sempre. Preferiva un modesto stoicismo, che considerava essenzialmente laico. Questo comportava una scrupolosa attenzione ai compiti di ogni comune giornata, e la buona coscienza che talvolta gli accadeva di sentire alla fine di una giornata siffatta. L’arte era una cosa diversa, particolare, separata; non c’era alcuna possibilità di armonizzarla con un qualche vago impulso verso l’amore. L’arte, e con tale termine lui intendeva la pittura e la letteratura, un po’ meno la musica, forse, risvegliava in lui l’intuizione di un mondo al di là del suo piccolo mondo. Le grandi idee, i nobili argomenti, gli aprivano la mente e il cuore. Andava nelle biblioteche e nei musei come altri potrebbero andare in chiesa. E ne usciva rimescolato, pieno di ammirazione e rispetto dell’alterità, e grato per le tremende e senza dubbio sofferte energie confluite nella produzione di tali opere, grato anche per la reazione della propria sensibilità. Non sarebbe stato capace di condividere, ma era capace di sentire; e ciò gli bastava. Certi giorni era in grado solo di osservare, ma anche queste osservazioni, del tipo di quelle che potrebbe fare uno studente diligente, facevano sì che provasse un sentimento di rispetto, un rispetto misteriosamente assente in altre circostanze. Egli si considerava un impenitente uomo del ventesimo secolo, senza alcuna probabilità di essere redento da rivelazioni dell’ultim’ora, o meglio, proprio da nessuna rivelazione di sorta.
da A Private View di Anita Brookner, Penguin Books 1995.