l’uovo di Colombo

Era così facile, eppure ancora
nessuno ci aveva mai pensato!
Credere per vedere: basta una legge
e puf! la povertà sarà abolita.
Comincia una nuova era culturale:
il paradiso in terra, qui e ora.

Dovesse fallire – non accadrà, ma
premunirsi è bene –
è pronto, o quasi, 
come subordinata un altro piano
più ambizioso, deciso e radicale,
semplice anch’esso e meno dispendioso:
abolire i poveri, sempre per decreto,
renderli illegali – prima i Rom e i neri,
che in parte già ci siamo,
poi per analogia i meridionali.

 

 

gl’ italiani

“… gl’italiani misurando gli altri da se medesimi … attribuiscono sempre ad odio e malvolenza e invidia ogni parola men che vantaggiosa che sia profferita o scritta da un estero in riguardo loro.”

LeopardiDiscorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani

 

colpo d’occhio

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Eccola qui l’Italia. Tornerà,
senza nemmeno più tanti schiamazzi,
la Lega alla passione delle origini,
alla non dimenticata secessione?
Forse è già nelle cose.
Due economie, due società,
due mondi, due colori
due interessi divergenti –
perché no due regni, due governi?
Basta poco: un po’ di autonomie
nel Nord in dirittura già d’arrivo,
più un televoto senza tanta spesa,
preparato da qualche talk show,
e voilà, si dividono le sorti.
Nel blù l’Italia austro ungarica,
idealmente catalana, padrona
di blindare i suoi guadagni.
Nel giallo, giù, oltre la linea
di Cassino o della faglia sismica,
il povero barcone alla deriva
dell’Italia in decrescita infelice.

poveri brutti e cattivi

A sentire i discorsi correnti, sembrerebbe che il disagio e il degrado delle periferie sia dovuto principalmente alla presenza di immigrati, alle loro abitudini di incuria, allo spaccio, alle violenze ecc. Sicché, una volta che gli immigrati sparissero (come, non si sa; ma facciamo l’ipotesi), ecco che gli abitanti di quelle zone riprenderebbero a vivere nel lindore e nella sicurezza, senza più spacciatori, senza più brutture e violenze, e tornerebbero a passeggiare o rincasare a notte tranquilli (anche le fanciulle).

Basterebbe un’occhiata ai giornali di qualche tempo fa per dubitarne.
Ricordo la serie di titoli sulle violenze “di branco” – come venivano chiamate – sui frequenti morti per pallottole vaganti o ben dirette in certe vie di Napoli, sulle gang di minorenni, sui dati relativi allo spaccio, sulle case fatiscenti da decenni occupate da poveri nostrani disperati e prepotenti.

I poveri appunto.
Sono questi il problema, tanto maggiore quanto più grandi sono la miseria economica e culturale, la disoccupazione, l’abbandono e lo sradicamento in cui si trovano.

Non si è fatto un granché finora per i poveri e gli emarginati nostrani, relegandoli in periferie senza servizi e non affrontando le cause della loro condizione, non offrendo loro reali alternative alla manovalanza alle dipendenza delle mafie. Fingendo che nemmeno esistessero, se non per i casi di cronaca nera.

Allo stesso modo, poco si è fatto per affrontare la presenza dei nuovi poveri, stranieri; poco per pensare e mettere in atto politiche efficaci di integrazione civile, e sottrarli all’altra, capillare ed efficientissima integrazione nella malavita organizzata e alla schiavitù del bracciantato e del lavoro nero.
Nel 2016 (governo Renzi) ci fu, ben è vero, un accordo tra Anci e governo per la distribuzione degli immigrati nei vari comuni: ne sarebbe risultata una media più che sostenibile di 2,5 migranti per ogni mille abitanti. Ma su quasi ottomila comuni solo 1.100 hanno aderito a quel (non obbligatorio) programma. E niente si è fatto per convincere gli  altri e per far conoscere il progetto all’opinione pubblica. Per lo più la gente, se glielo chiedi, ignora cosa sia lo Sprar.

Di fatto, si è preferito sperare che alla spicciolata se ne andassero per conto proprio oltre confine (finché riuscivano) o lasciarli ammucchiare nelle periferie o ghetti off limits dei poveri già esistenti, abbandonandoli ad arrangiarsi come tutti loro ed esasperando i problemi già esistenti –  usati poi ai fini della propaganda elettorale, per mascherare l’incapacità e la scarsa volontà di affrontare gli incancreniti mali italiani.

sensibilità affinata

Spesso basta anche un frammento di fotogramma a individuare un film o almeno la sua epoca. Così è pure per la musica: pochissime note, e si può individuare, se non l’autore, il suo tempo.
Allo stesso modo accade che, ascoltando la radio (e dunque senza immagini), si indovini dall’accento e dal tono delle prime sillabe pronunciate, se il deputato che interviene nei dibattiti in Parlamento sia un cinquestelle. Sugli altri, compresi i leghisti, ci si può spesso sbagliare, perché prevalgono le diverse personalità individuali: tutt’al più si riconosce la provenienza regionale. Ma quel tono misto di petulanza e presunzione su un sottofondo di lamento aggressivo è infallibilmente la cifra comune, il marchio D.O.C che individua i cinquestelle.
Evidentemente, non solo il linguaggio verbale quale può essere valutato in forma scritta, ma anche il tono, la sua oralità, esprimono e rappresentano tutto un particolare mondo culturale. Proprio come il semplice bianco e nero di un film di Hitchcock basta immediatamente ad evocare – prima e al di là del contenuto del film stesso, del volto e i costumi degli attori, del suo stile e del suo valore – il clima degli anni in cui fu girato.

Domeniche in famiglia

Limitare le aperture dei negozi la domenica dovrebbe servire, nelle intenzioni di chi con postura vescovile ha proposto la cosa, a salvaguardare la famiglia. Finalmente gli addetti al commercio (non però tanti altri) godrebbero la festività in compagnia dei propri cari.

Per meglio centrare questo ottimo scopo, il nostro lungimirante ministro, coraggioso com’è, dovrebbe però anche stabilire (lui che è addetto alle comunicazioni) il black out domenicale di internet, sia per evitare la concorrenza degli acquisti in rete, sia, o soprattutto, per evitare che i membri della famiglia riunita passino la domenica a chattare ciascuno per conto proprio con qualche aggeggio, evitando il dialogo tra genitori e figli e all’interno della coppia – cosa che, come si sa, devasta le famiglie.

Per quanto, a ben pensarci, un’astinenza domenicale dallo shopping e dai social networks potrebbe sfociare in un’impennata dei litigi coniugali e – considerata l’estensione della possibilità di detenere armi in casa (già in Gazzetta Ufficiale) – anche delle stragi domestiche.

Storia e Profezia

Tutti addosso a quel povero Conte
che esalta come data inaugurale
per il fu miracolo economico
nientemeno che l’Otto Settembre.
“Non è questa la Storia”, van dicendo:
“Quella fu la data di uno sbando!”

Mi dissocio dai critici commenti:
se non è Storia, forse è Profezia
che fiorisce in bocca agli innocenti.
Chi ha orecchie per intendere l’intenda.
Non è certo insipienza spavalda
né avventata improvvisazione
che ci guida al disastro in mezzo ai flutti,
è bensì solo la lungimiranza
di nocchieri che han fatto tesoro
di quanto i savi hanno sempre detto:
per poter risalire occorre prima
andare giù, fino a toccare il fondo.

 

il male nascosto

Questo è il  tumore che germina nascosto in tanta ricchezza e tanta pace,
che all’interno si ulcera e infetta, e non mostra all’esterno
la causa per cui l’uomo ne muore.

Shakespeare, Amleto, Atto IV, scena iv

Sessant’anni di pace e di benessere, e all’interno dell’Europa si gonfia nuovamente il bubbone delle antiche pesti.

 

ipse dixit

Mi ha dato dello stronzo, e nessuno lo ha smentito.

(Ipse, oggi, in un’intervista su Libero)

 

I difensori della democrazia

Leggo su Repubblica di oggi che Giorgetti (Lega) ieri al Meeting di Rimini ha ventilato una riforma costituzionale di tipo presidenzialista: l’elezione diretta del presidente della Repubblica, il taglio dei parlamentari e l’eliminazione di una Camera.
Non solo.
Ha aggiunto che « il Parlamento non conta più nulla perché non è più sentito dai cittadini elettori che vi vedono il luogo della inconcludenza della politica » . E « Se continuiamo a difendere il feticcio della democrazia rappresentativa non facciamo un bene alla stessa democrazia». Tutti interventi di architettura istituzionale che «non sono nei titoli del contratto di governo », ma necessari perché, ribadisce il sottosegretario leghista, «la riforma dell’istituzione parlamentare è indispensabile ». Altrimenti la reazione popolare rischia di «travolgere la democrazia rappresentativa ».
Giorgetti auspica che le riforme istituzionali si facciano in questa legislatura: «I Parlamenti non hanno più il ruolo del passato e per l’opinione pubblica sono il luogo della inconcludenza».

Mi tornano in mente il famoso Referendum del novembre 2017 e i motivi per cui alla fine, proprio per evitare i prevedibili esiti che ora appaiono all’orizzonte, a qualcuno (ahimé pochi) di noi parve di dover scegliere il SI.
Infatti Dicevamo …