LE BELLE BANDIERE
Per ricordare il 25 APRILE di sessantuno anni fa, ecco le ultime strofe di una poesia di Pasolini pubblicata sul settimanale “Vie Nuove” nel 1962, e poi nel volume Poesia in forma di rosa (Garzanti, 1964), col titolo “Le belle bandiere”:
…………………………………… primavere
sepolte da secoli
in quegli stessi sobborghi o paesi,
– e pronte, Dio!
pronte a rinascere,
su quei muretti, su quelle strade.
Su quei muretti, su quelle strade,
imbevuti di strano profumo,
asiatico – primule, strame, passaggi
di vecchie pecore scure – fiorivano nel tepore
i meli, i ciliegi. – E il colore rosso
aveva una brunitura, come
se fosse immerso in un’aria di caldo temporale,
un rosso quasi marrone, ciliege come prugne,
pometti come susine: e occhieggiava, quel rosso
tra le brune, intense
trame del fogliame, calmo, come la primavera
non avesse fretta,
volesse godersi quel tepore in cui fiatava il mondo,
quelle grida di operai, che erano quasi silenzio,
solenni e attutite,
nel biancore
del caos di muretti, marciapiedi di terra fangosa,
sagome di fabbriche.
E, su tutto, lo sventolio,
l’umile, pigro sventolio
delle bandiere rosse. Dio! belle bandiere
degli Anni Quaranta!
A sventolare una sull’altra, in una folla di tela
povera, rosseggiante, un rosso che traspariva
violento, con la miseria delle tovaglie,
dei copriletti di seta, dei bucati delle famiglie operaie,
– ma col fuoco delle ciliege, dei pomi, violetto
per l’umidità, sanguigno per un po’ di sole che lo colpiva,
ardente rosso affastellato e tremante,
nella tenerezza eroica d’un’immortale stagione.
Nella home page del sito www.pasolini.net, aspettando due secondi che termini la musica, si può in questi giorni ascoltare questa ultima strofa dalla voce di Pasolini stesso.
Però. Nel 1970, quando Pasolini curò una propria piccola antologia, sempre per la Garzanti, questa poesia apparve priva delle strofe che qui ho ricopiato.
Al loro posto c’erano questi due versi:
Ah, le belle bandiere degli Anni Quaranta!
Pretesto al buffone per piangere.
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/ aprile 25, 200625 APRIL
Quan che l’è andà giò ‘l duce, laurava pü nisün; se te vurevet fa, püsè che bev feven no.
Ben, verso sera vün l’è ‘ndà lì in di gabinet a fa i so bisogn; se capis che l’ha fa in temp no, l’ha fada den in di mudand. Pö dopu l’ha cavà i mudand e i ha lasà lì den in gabinet.
La Cechina l’è ‘ndada là, i ha vist, l’ha ciapà ‘na pertiga, i ha mis sü, e pö la gireva lì in curt – de la cuntentesa che l’era ‘ndà giò ‘l duce.
da Anna Menni, “Dopuguera”, IRU, Milano 2005
toporififi
/ aprile 25, 2006E’ molto bello questo pensare le bandiere rosse come frutto naturale della primavera dopo l’inverno fascista.
Ma quanti, dell’atuale coalizione vincente, vi si riconoscono?
I vecchi combattenti muoiono e le nuove leve hanno consulenti, i vecchi combattenti stimavano l’avversario politico, oggi lo si vuole degradato, (quando già non lo è di suo).
Sono ricordi, sono tenerezze che quasi coprono altre bandiere rosse, rosse di sangue di milioni.
Osserviamo con grave preoccupazione i nuovi eventi, i nuovi Sedara che svendono le ossa dei gattopardi indossando giubbe rosse di garibaldini.